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QUALE STATO NELLA CRISI PER GLI INVISIBILI?

30-05-2019 15:00 - News Generiche
Nelle due ultime elezioni nazionali (politiche ed europee) il Movimento 5stelle è stato il partito più votato nel Meridione d'Italia (Sud continentale e due Isole maggiori), l'area in cui è statisticamente più alta la presenza dei ceti poveri e meno garantiti (i nostri Invisibili). Dato che questa formazione politica non dispone ancora delle efficaci forme clientelari di controllo del voto, ben utilizzate da tutti gli altri partiti, e dato che non siamo di quelli che pensano che le masse popolari sbaglino per ignoranza (o, più elegantemente, che le “classi subalterne talora si illudano nel votare”) ci interessa capire le ragioni di questo primato nell'attuale fase storica.
Che il modello novecentesco di Stato Nazionale sia ormai in crisi irreversibile e che questa crisi sia conseguenza diretta del declino finale del modo di produzione industriale (che agonizza oggi tra mega-concentrazioni di imprese multinazionali, esaurimento delle riserve naturali e forme di concorrenza da guerra economica), sono fatti sostanzialmente condivisi dagli osservatori politici.
E' ancora controverso, invece, quale sia il modello di “stato nella crisi” più efficace per controllare le conseguenze sociali di questa situazione economica, che approfondisce le differenze (tra le classi e all'interno delle classi) ed impoverisce rapidamente il proletariato industriale e la medio-piccola borghesia (basti pensare alla lunga guerriglia sociale in Francia).
In Italia si fronteggiano oggi (al di là delle politologiche ed abusate categorie di populismo e sovranismo) almeno 4 modelli di Stato e, dato che la scelta tra loro è questione di “punti di vista” sociali, a noi del “Paese Invisibile” interessa capire quale sia il modello più vicino agli interessi degli Invisibili:

1) Più di un partito propugna ancora, come alla fine del secolo scorso, uno “Stato leggero” (la vecchia bandiera di Forza Italia per intenderci), che getta alle ortiche l'assistenzialismo sociale, intende il diritto come semplice difesa della proprietà privata e riserva le risorse economiche pubbliche (sempre più ridotte) al sostegno della grande industria, la sola capace di creare tanta ricchezza, da poterne spartire una parte con i ceti medi e le briciole con i poveri (quegli invisibili che sarebbero tali del resto solo perché incapaci). Questa proposta, esplicitamente di classe, non considera che oggi la crisi ha eroso troppo la quota dei ceti medi (commercianti, professionisti, pubblico impiego, piccola industria), per garantire sufficienti alleanze alla grande industria.

2) Quella che fu la sinistra (il PD in primo luogo) condivide pienamente l'ipotesi confindustriale che la ricchezza e il lavoro siano creati dalla grande impresa e delinea di fatto (nonostante la retorica “di bandiera” antifascista ed antimafiosa) uno Stato disponibile con i forti (in Italia e all'estero) e indifferente ai deboli, proponendo però una maggiore salvaguardia dei ceti medi. Non propugna più, infatti, lo Stato sociale (che anzi ha contribuito in gran parte a smantellare), ma lo sostituisce con quelle “formazioni sociali intermedie” (sindacati, cooperative, volontariato, agenzie tecniche), che formano il suo elettorato e che in realtà oggi mirano molto più alla propria sopravvivenza che non a quella dei propri assistiti: esemplari il caso delle tutele contrattuali e del “salario minimo”, da garantire solo con la contrattazione sindacale e non per legge (una pratica che finora ha tagliato fuori tutti i lavoratori atipici) e la strenua difesa del “volontariato” (che costa alle finanze pubbliche molto più dei migranti o degli emarginati che dovrebbe assistere), delle cooperative (che servono solo a scavalcare i concorsi pubblici e i bandi di assegnazione dei servizi) e delle agenzie di consulenza (che raddoppiano i costi del personale amministrativo, a cui si sovrappongono).

3) A tutelare la piccola borghesia impoverita restano oggi solo le due formazioni politiche che (non a caso) hanno trionfato a turno alle ultime elezioni nazionali e che mantengono da mesi più del 50% dei consensi, grazie alle proposte a favore dei meno garantiti (pensionati e disoccupati innanzitutto) ed alla comune avversione verso le agenzie sovranazionali europee e mondiali.

4) Tra loro, però, esistono differenze non di poco conto proprio sulla considerazione dello Stato, inteso dalla Lega come mero depositario dei “valori” sociali piccolo-borghesi (Dio, patria e famiglia), ma per il resto (nonostante il sostegno economico riservato a piccoli e medi imprenditori), sostanzialmente “leggero” alla Forza Italia (da qui l'esigenza della legittima difesa), mentre i Pentastellati vorrebbero rafforzare lo Stato come garante della legalità istituzionale e come strumento di intervento diretto nell'economia (con reminiscenze keynesiane e del vecchio Partito Comunista).

E' evidente che le prime due ipotesi di Stato sono state abbandonate dagli Invisibili perché nella crisi economica non possono accontentarsi né delle briciole riservate loro dagli industriali, né del ruolo di facciata dei corpi intermedi “di sinistra” (esemplare la crisi del sindacato). Ma al di là del vantaggio individuato nel reddito di cittadinanza (che persino un teorico borghese come Monti si stupisce non sia stato proposto dai governi del PD) e nell'abolizione della riforma Fornero (i due provvedimenti non a caso più contestati dal governo europeo - Commissione e Banca Centrale - e dalle agenzie economiche globali), il modello pentastellato di uno Stato “forte” (nell'amministrazione della giustizia e nell'economia) conviene agli Invisibili?
La giustizia istituzionale spesso finora li ha individuati come gli unici soggetti punibili con la galera: si può sperare in una riforma che modifichi l'ottica di classe dei giudici? La scuola metodicamente li discrimina e li espelle (basta guardare i dati sull'evasione scolastica) e la sanità pubblica (la sola accessibile per loro) è peggiorata rapidamente nella crisi: sarà in grado l'attuale governo di invertire l'espansionismo dei privati in questo settore? C'è poi da sperare ancora in una capacità statale di fare argine alla distruzione dell'ambiente e della salute dei cittadini, creata da fabbriche come l'Ilva e da progetti come la TAV, ed alla corruzione che domina ogni settore degli appalti pubblici?
Non lo sanno gli Invisibili (oggi in prudente attesa) e meno che mai lo sappiamo noi. Al momento, del resto, non sembra ci siano altri modelli possibili e realmente praticabili e gli Invisibili sembrano accontentarsi (nonostante i dubbi manifestati con l'astensionismo alle europee). Secondo noi, però, potranno equilibrare il feroce condizionamento che le classi al potere stanno esercitando sull'attuale governo, per sfruttare a proprio vantaggio la crisi, solo se riusciranno a trovare e a praticare a loro volta forme efficaci di controllo e di pressione dal basso.
La politica infatti, come sempre, è dialettica degli opposti.




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