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GLI ACROBATI DELLA DEMOCRAZIA

20-03-2021 16:36 - News Generiche
Grande vanto di tutto l’Occidente industrializzato, la Democrazia è una forma politica antica ma molto delicata, che per vivere ha bisogno di tre presupposti fondamentali: 1) la piena consapevolezza di tutti i cittadini dei propri diritti e doveri, attraverso una buona conoscenza delle regole fondamentali del proprio sistema politico (fissate nella Costituzione) e delle modalità di funzionamento dello Stato a livello centrale e periferico; 2) la possibilità di ogni cittadino di esprimere liberamente le proprie opinioni sulle scelte di governo (che devono essere per questo trasparenti e pubbliche) e di discuterle in sedi idonee, contribuendo a formare quell'Opinione Pubblica, che è contraltare essenziale al potere politico; 3) una serie di canali di comunicazione con l’apparato statale con direzione duplice (alto-basso e viceversa), che presuppone disponibilità all'ascolto ed alla risposta rapida da parte dei governanti e possibilità di replica dei governati.
Se il cittadino, inoltre, viene solo informato (sia pure con sovrabbondanza) delle decisioni, ma non può partecipare in alcun modo alla loro formazione, la democrazia diventa “televisiva”: i talk show sostituiscono il dibattito democratico ed i sondaggi possono prendere il posto delle elezioni. E bisogna diffidare soprattutto dei nuovi mezzi telematici, idonei a passare ancora più rapidamente dal dibattito allo spettacolo: la democrazia rischia di diventare solo una messa in scena, una forma di captazione del consenso dello spettatore, che ha spazio solo per una rapida battuta dal loggione di Twitter o di Facebook.
Garanzia reale del dibattito di base e canale di partecipazione attiva sono stati in Italia (dal secondo dopoguerra alla fine del ‘900) i Partiti politici (in particolare i due grandi “partiti di massa”). Oggi, però, i partiti post-ideologici non assolvono più questa funzione, ma solo quella di rappresentare interessi già più o meno organizzati ed è nata perciò l’esigenza di forme inedite di democrazia di base, diretta e partecipativa, previste ormai da molte leggi nazionali e regionali, che le pongono non di rado come condizione essenziale nel processo di creazione e controllo delle norme.
A Patti, per un curioso gioco del destino, due espressioni di questa recente democrazia partecipativa si sono incrociate, il 4 marzo scorso, in un’Assemblea Telematica sul PUG, organizzata dal Presidente della Consulta del Centro Storico. Un “incontro on line”, che ha dimostrato purtroppo tutta la fragilità ed i rischi di questo tipo di democrazia, che è ancora in fase sperimentale e ha bisogno, perciò, di evitare facili scorciatoie, di mantenere un grande rispetto verso i cittadini e di essere disponibile a continue verifiche e revisioni. La bassa partecipazione all'evento (non più di 17 persone, che per di più andavano e venivano e di cui almeno due terzi erano tecnici o amministratori) non ha attestato (come spesso si ama dire) il basso senso civico dei pattesi, ma l’errore di una convocazione che, per quanto mossa soggettivamente dal desiderio dell’organizzatore di cogliere al volo questa inedita apertura alla democrazia partecipata, è stata decisa senza un dibattito preliminare nelle Consulte e senza alcuna approvazione collettiva (dato che il silenzio-assenso è un criterio non applicabile alla democrazia diretta) ed è risultata così, oggettivamente, più che altro una forma di soccorso verso un’Amministrazione, che oggi ha bisogno urgente proprio di quella partecipazione attiva dei cittadini, che per anni ha metodicamente contrastato con ogni mezzo e che continua a rifiutare di fatto persino ora che le servirebbe: basti pensare che il Forum previsto dall’art.26 della legge regionale per accogliere le proposte dei cittadini, che avrebbe dovuto essere aperto dall'Amministrazione sul sito del Comune, è stato creato privatamente, sempre con decisione personale, dallo stesso organizzatore dell’incontro, che lo ha presentato per di più, per dargli un minimo di veste istituzionale, come un’iniziativa del Coordinamento delle Consulte. Sia chiaro inoltre che le Assemblee telematiche sono utili in ambiti ben diversi, abbastanza ristretti ed in cui i partecipanti sono già consapevoli alla pari della materia trattata. Se esiste uno sbilanciamento iniziale di informazione, come in questo caso, i soggetti meno informati non partecipano o, se lo fanno, non intervengono, dato che i cittadini sono stufi di fare da sfondo a decisioni sostanzialmente già prese, dirette a soddisfare gli interessi economicamente più forti e meglio organizzati ed in cui a loro si riserva sempre il ruolo di comparsa, idonea a riempire la scena e a dare una comoda patente di democrazia.
Le Consulte Territoriali dei Cittadini sono nate a Patti sette anni fa, come forma istituzionale di democrazia diretta, non rappresentativa, in quanto chiunque può aderirvi e chi ne fa parte esprime solo le proprie idee ed esigenze, in base ad un’insostituibile conoscenza diretta del proprio territorio. Chi vi ricopre cariche è solo un portavoce, imposto da esigenze pratiche di comunicazione con le istituzioni cittadine, ma privo di ogni autonomia di contrattazione e proposizione personale. E’ sempre stato difficile, però, salvaguardare questi principi, dato che è umano che chi è scelto solo per convocare gli altri, proporre loro alcuni temi e riferire le decisioni collettive tenda poi in qualche modo (soprattutto in periodi di calo della partecipazione collettiva e, oggi, a causa anche delle restrizioni imposte dalla pandemia), a diventare decisore, magari per esigenze di rapidità di risposta e senza dubbio per la continua spinta in questa direzione degli Amministratori cittadini, che trovano più semplice confrontarsi con un solo cittadino anziché con molti. Sia chiaro, però, che se questo rispetto della democrazia diretta dovesse venire meno, è più giusto che le Consulte scompaiono, dato che avrebbero fallito il proprio compito, o che si trasformino in Comitati di Quartiere eletti dai residenti, unico passaggio in grado di dare un legittimo potere rappresentativo ai loro direttivi.
D’altra parte, anche il tema e lo spunto dell’incontro, la legge sul Piano Urbanistico Generale (cioè la legge regionale n.19 del 2020), corretta già all'inizio di quest’anno ed ancora qualche settimana fa, dopo il ricorso dello Stato contro alcune norme costituzionalmente illegittime (come quelle sulla valutazione ambientale e sulla tutela del paesaggio), nella sua ultima versione pone addirittura la partecipazione attiva dei cittadini come condizione essenziale e preliminare per il procedimento di formazione del Piano. È evidente però che questa improvvisa ventata di democrazia diretta diventa falsa e formale, se non è sostenuta da una strutturale apertura politica alla democrazia di base e se non fornisce ai cittadini una serie di informazioni tecniche essenziali per armonizzare le esigenze sociali a quelle ambientali, prioritarie per una legge che dovrebbe avere come fine essenziale l’eliminazione del “consumo di suolo” e dunque il mantenimento di un equilibrio tra cemento ed aree agricole, ma che ci sembra stia tentando, al contrario, di aggirare in ogni modo le limitazioni nazionali, rendendo edificabili tutte le aree interne al perimetro urbano (anche quelle oggi agricole) ed utilizzando il turismo come cavallo di Troia per poter costruire, anche se con bassi indici di edificabilità, nelle aree extraurbane. In questa prospettiva gli studi preliminari richiesti dalla legge (agricolo-forestale, geologico, idrogeologico, demografico, socio-economico ed archeologico) potrebbero trasformarsi da limiti invalicabili di tutela dell’ambiente naturale e storico ad interpretazioni flessibili, utili a favorire gli interessi posti come prioritari dalla “volontà popolare”. Ma storicamente il "popolo", se non è più demos, è strumento di mistificazione della volontà dei demagoghi.



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