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DONNE E POTERE

30-09-2022 21:30 - News Generiche
Il fatto che l’arrivo di una donna in una posizione direttiva susciti sempre stupore e venga salutato ogni volta come una nuova tappa del progresso del genere femminile nella società (sia questa donna la Meloni in politica, la Cristoforetti nello spazio o la Ferrieri Caputi ad arbitrare sui campi di calcio della serie A), pone due alternative: o le donne sono esseri inferiori, che solo dopo secoli si stanno avvicinando faticosamente all'eccellenza maschile, oppure la società umana è da secoli così rigidamente patriarcale (dalle montagne dell’Afghanistan alle Metropoli occidentali) che solo la sua crisi attuale di sistema apre a donne intelligenti, volitive e preparate l’accesso ad alcuni vertici di potere.

Noi propendiamo naturalmente per la seconda ipotesi e crediamo che la società industriale occidentale abbia talmente spalancato le porte ad un declino sempre più rapido della presenza umana su questo pianeta, da consentire che la sua classe dirigente possa persino “femminilizzarsi”. Una riprova di questa nostra convinzione è la constatazione che i settori sociali si “femminilizzano” quando perdono potere: ad esempio la scuola dei primi del ‘900, che preparava solo la classe dirigente, era rigoroso dominio di docenti maschi, mentre la scuola di oggi, che serve per lo più da parcheggio degli adolescenti e da supporto di reddito alle classi medie, vede soprattutto insegnanti e dirigenti donne (al di là, naturalmente, del modo appassionato in cui alcune di loro svolgono il proprio ruolo).

Ma consideriamo anche chi sono le donne che accedono oggi ai posti di potere: eliminate le mogli, le figlie e le amanti di uomini di potere, che le spingono ai vertici solo per fare, formalmente e momentaneamente, le loro veci, ed eliminate le odiose “quote rosa”, che impongono per legge spazi di potere ad una percentuale di rappresentanti del gentil sesso (a prescindere spesso, purtroppo, del loro effettivo valore), si tratta senza dubbio di donne che devono essere preparate e brave il triplo dei loro colleghi maschi e che devono avere avuto il coraggio di lottare con tenacia per farsi valere. Sono donne, però, aggiungiamo, che si sono fatte valere perché condividono in pieno i valori della società che stanno scalando; sono donne che si “emancipano” per ottenere la parità nella società così com'è.

Perché meravigliarsi, allora, che spesso siano donne conservatrici (pensiamo alle varie premier inglesi, a partire dalla Tatcher, o alla cristiano-democratica Merkel) o donne che si identificano così pienamente nella propria professione (dalla scienza allo sport) da disinteressarsi spesso del resto: le loro incursioni nel sociale le fanno solo in veste di “esperti” oppure per sollecitare i giovani (e soprattutto le giovani) a seguire il loro esempio.

Perché pretendere allora (ancora peggio!) che siano “femministe”, portatrici pertanto di valori alternativi a quelli dominanti, dato che le femministe (quelle vere, non quelle che potremmo definire, sulle orme di Sciascia, le “professioniste del femminismo”) da sempre costruiscono CONTROPOTERE nella pratica (con i consultori autogestiti, le case delle donne, la difesa collettiva contro la violenza) e non aspirano certo al potere in questa società, ma al suo cambiamento.

Detto ciò, non ci dispiace affatto che sempre più donne sostituiscano oggi i maschi in posti di potere ed abbiamo molta simpatia per le loro storie personali e per la loro grinta (anche quando hanno idee molto diverse dalle nostre), ma non si aspettiamo affatto da loro un mutamento della società, né novità sostanziali nella direzione del potere che raggiungono. Constatiamo anzi che spesso sono più conservatrici dei colleghi maschi.

Le rivoluzioni sociali, del resto, i mutamenti radicali, non si fanno mai dai vertici del potere, ma dalla base. È al contro-potere che spetta, anche in questa fase, salvare il genere umano da chi attualmente lo dirige, maschio o femmina che sia.

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