I DIVANI “RIGIDI” DEGLI INVISIBILI

19-04-2023 16:47 -

Il Mercato del Lavoro è il “luogo” astratto in cui si incontrano l'offerta (da parte dei lavoratori) e la domanda (da parte delle imprese) di lavoro, determinando i livelli salariali ed occupazionali, ed è nelle società avanzate un luogo estremamente segmentato, nel senso che non tutti i lavori sono adatti a chiunque cerchi lavoro e non tutti i lavoratori sono disponibili a fare qualsiasi lavoro. Quanto più questi settori del mercato sono esclusivi (nel senso che c'è chi è disposto a fare solo alcuni lavori o d'altra parte chi richiede solo un certo tipo di lavoratori), tanto più si parla di un mercato del lavoro “rigido”. La rigidità, inoltre, viene aumentata dalla maggiore o minore disponibilità dei lavoratori a spostarsi sul territorio nazionale e internazionale: lo spostamento infatti deve essere vantaggioso economicamente per lui o almeno per la sua famiglia (che resta spesso nel paese d'origine), altrimenti il lavoratore risponderà solo a richieste non troppo lontane dal luogo di residenza.

Passando dalla teoria alla realtà, che tipo di mercato del lavoro, o meglio quanti mercati del lavoro dipendente esistono oggi in Italia?
E qual è la situazione pattese?

1. Partendo dai lavoratori più qualificati si può affermare, in base ai dati sulla cosiddetta “fuga di cervelli”, che per i laureati , soprattutto in settori scientifici, e per gli operai altamente specializzati la ricerca di un impiego ben remunerato e adatto alla propria formazione favorisce lo spostamento all'estero degli italiani ed una scarsa affluenza in Italia di stranieri qualificati, dato che il mercato del lavoro nazionale offre spesso un'attività a tempo determinato, priva di prospettive future e con livelli salariali inadeguati. Per verificare questi dati a Patti, basta basarsi sull'evidenza dei tanti nostri giovani laureati che lavorano al Nord Italia o all'Estero e della delusione dei pochi che ritornano, illudendosi di poter utilizzare qui le esperienze lavorative maturate fuori. Si può verificare d'altra parte anche la condizione svantaggiata di chi lavora da dipendente pubblico o in strutture private, sognando di passare dalla dipendenza all'autonomia professionale, ma facendo i conti con un ormai consolidato sistema di rapporti interpersonali, che scoraggia l'indipendenza.

2. Riguardo alle fasce di attività intermedie (impiegatizie o di media specializzazione) la parte del leone, in uno Stato che scivola rapidamente verso la deindustrializzazione, è svolta dalla Pubblica Amministrazione o dalla possibilità di studi professionali e di piccole imprese di poter contare su commesse ed appalti pubblici e quindi su un legame non sempre facile con burocrazia statale e politica locale che, insieme al lungo blocco delle assunzioni tramite concorso ed alla possibilità di appalti senza bando (che il governo in carica ha oggi addirittura ampliato, reintroducendo anche il subappalto incontrollato dei lavori) ha contribuito a declassare i livelli qualitativi, a vantaggio di standard lavorativi bassi nella P.A. e di forme più o meno esplicite di lavoro nero e rischioso nel privato. I lavoratori disposti ad entrare in questo settore del mercato del lavoro sono in bilico tra un'attività abbastanza garantita, continuativa e con retribuzioni accettabili e la sottomissione a forme clientelari di assunzione, a prestazioni lavorative mediocri e ad un ambiente di lavoro operaio poco sicuro, che spingono ad irrigidire la facilità di spostamento: in altre parole, offri il tuo lavoro a queste condizioni solo se puoi restare nel territorio di residenza o puoi tornarci rapidamente dopo un breve periodo in zone più lontane del territorio nazionale, all'inizio delle assunzioni (come gli ultimi ingressi nel mondo della scuola) o per occasioni particolari (non sono pochi ad esempio a Patti i lavoratori dell'edilizia o anche i geometri che hanno partecipato periodicamente ai cantieri dell'alta velocità o ad altri grandi appalti nazionali). In generale nel nostro territorio rientrano in questo segmento del mercato del lavoro (che a livello impiegatizio vede un'alta componente femminile) tutti i dipendenti degli enti locali o dei servizi pubblici (Comune, Regione, Ospedale, Scuola), gli operai edili delle tante piccole-medie imprese pattesi ed i lavoratori delle poche realtà di un terziario che in un'inchiesta di 5 anni fa abbiamo definito “inquinante” (non per violazione di norme di sicurezza, ma per la natura stessa delle attività), cioè una grande lavanderia industriale (al momento l'unica vera industria pattese per numero di addetti) e 2 ditte di raccolta e trattamento rifiuti. Nel complesso si tratta di lavoratori la cui assunzione è passata da rapporti clientelari, da assunzioni straordinarie o dal rapporto personale di fiducia con i datori di lavori, con scarsissimo peso delle qualifiche iniziali.

3. Per i lavori più bassi (stagionali agricoli, operai non specializzati, lavoratori a tempo determinato, camerieri, piccole partite Iva, attività di assistenza alle persone o di pulizia), la rigidità dell'offerta di lavoro dovrebbe essere minore, dato che si tratta dei lavoratori più numerosi (anche per la concorrenza degli immigrati) e senza qualificazione, ma una certa rigidità è data da 2 fattori: a) un livello sia pur minimo di qualità della vita, ritenuto irrinunciabile dopo anni di condizionamento degli standard occidentali di consumo, unito ad una diffusa coscienza sindacale dei propri diritti di lavoratore e b) soprattutto, la concorrenza tra il mercato del lavoro ufficiale e la possibilità di accedere a forme di assistenza sociale clientelari, lavori in nero precari ma meglio retribuiti, un ritorno periodico a forme di agricoltura povera e l'esistenza di un mercato del lavoro criminale, che la consolidata realtà economica delle grandi organizzazioni mafiose in Italia ha reso diffuso ed appetibile per il rapporto tra tempi di lavoro e remunerazione economica, con un trascurabile rischio di condanne penali. Esiste inoltre oggi in questo settore del mercato del lavoro (interessato in altre epoche dalle grandi emigrazioni verso le Americhe o il Nord Italia) una forte indisponibilità agli spostamenti, dovuta ai costi dei trasporti e degli alloggi in affitto ed alla concorrenza di una sempre maggiore folla di poveri, che vivono in alloggi irregolari ed utilizzano l'assistenza caritatevole (i “terroni” di ieri sono gli stranieri migranti di oggi). A Patti questo è il settore di tutto il precariato: da quello pubblico (con una pletora di sigle che aspirano da anni alla stabilizzazione) a quello privato del commercio (commessi di supermercati e negozi), delle attività stagionali di ristoro e turistiche, delle officine meccaniche, delle assunzioni temporanee di manovali nell'edilizia, del lavoro nero in agricoltura (che riguarda soprattutto immigrati albanesi e rumeni), delle prestazioni a tempo nell'assistenza domiciliare (dove hanno largo spazio gli immigrati indiani) e dei lavori di pulizia. Non azzardiamo ipotesi sul settore locale dell'economia illegale, ma non ci facciamo illusioni (anche in base alle notizie di cronaca) sul fatto che la vendita degli stupefacenti, la riscossione del “pizzo”, la prostituzione ed il prestito ad usura non utilizzino anche nel nostro paese una manodopera occasionale, non del tutto integrata nelle associazioni mafiose.

L'attuale Governo sembra finora disinteressarsi delle storture e dei problemi dei primi due settori del Mercato del Lavoro, la cui soluzione eppure sarebbe indispensabile sia per lo sviluppo della ricerca teorica ed applicata e della capacità di progettazione ed innovazione, che per un miglioramento delle prestazioni della Pubblica Amministrazione (in cui finora si sono riaperte le assunzioni soprattutto per poliziotti e finanzieri) e per un innalzamento della qualità dei lavori pubblici. Mostra invece di concentrare i propri interventi sull'ultimo settore di attività, cercando di rendere più “elastici” questi lavoratori, con un corollario di critiche stucchevoli sulla loro scarsa propensione al lavoro, come le banalità della preferenza al divano – che per altro spesso nelle case più povere non c'è – sulle orme del mitico Andy Capp disegnato da Reg Smythe, o del rifiuto “incomprensibile” di lavorare per 10-12 ore al giorno a ritmi elevati senza alcuna garanzia contrattuale e senza alcuna prospettiva di miglioramento, che potremmo definire meglio come scarsa propensione a lasciarsi sfruttare. È per questo settore che si sono reintrodotti i vaucher (i buoni-lavoro prepagati utilizzabili per remunerare prestazioni di lavoro accessorio, cioè svolto al di fuori di un normale contratto di lavoro, in modo discontinuo e saltuario), mentre la critica ai sussidi sociali si è concentrata sull'unica forma automatica e non clientelare: il reddito di cittadinanza che, sottraendo l'erogazione del beneficio a sindaci, patronati, professionisti e mediatori di vario tipo, ha eliminato il controllo politico su questi strati marginali. Nessun attacco infatti alle irregolarità delle pensioni di invalidità, all'arbitrio politico delle chiamate locali ai “lavori utili”, ma solo demonizzazione di un meccanismo (sia pure imperfetto e privo di controlli alla fonte) reo di rendere socialmente incontrollabili i percettori del sussidio.

Le riforme proposte da alcuni mesi mirano tutte a rimettere sotto controllo clientelare i “veri” poveri (gli anziani e quelli che hanno a carico figli minori, anziani o disabili) e ad aumentare la ricattabilità di quelli in età lavorativa senza soggetti deboli a carico (i cosiddetti “occupabili”), respingendo la concorrenza degli immigrati (che non votano) nei settori più massacranti, come le raccolte stagionali ed i lavori rischiosi o degradanti, nei quali domina il sistema del “caporalato”. Come ha dichiarato ieri la Meloni al Salone del Mobile, per lavorare nelle imprese che producono “Made in Italy” (che cioè ricavano i maggiori profitti dalla vendita all'estero, evitando la crescente mancanza di acquirenti nel mercato nazionale) non si deve puntare sugli immigrati, ma su quegli italiani che il Governo lascia ora, con la soppressione del reddito di cittadinanza, al “libero mercato”, meglio se donne (tradizionalmente più propense al sacrificio e con minori occasioni lavorative). Non fa i conti però con le attuali difficoltà oggettive del lavoro operaio femminile e con una rigidità di richiesta di diritti e garanzie, irrinunciabile per chiunque lavori all'interno dei paesi industrializzati.
Una rigidità che nulla ha a che fare con la comodità dei divani degli Invisibili.