LA DECRESCITA INFELICE DI MARIO DRAGHI

14-04-2022 18:13 -

Premesso che siamo tra quelli che il condizionatore non l’hanno mai comprato, per ragioni ecologiche e salutari, da molto prima dell’infelice battuta di Draghi sull'alternativa tra il suo uso e la pace in Ucraina e che per analoghe ragioni non usiamo i riscaldamenti, aggiungiamo anche che cuciniamo poco, già prima di aver scoperto che il grande antropologo francese Lévi-Strauss(non l'inventore dei jeans, ma l'autore de "Il crudo e il cotto") individuava nella cottura del cibo un elemento fondante dell’ordine culturale, il mediatore del passaggio da una società allo stadio naturale a quella delle regole sociali.

Ci sembra, però, che Draghi (e con lui il vasto schieramento politico oggi al governo in Italia) sia ben lontano dall'essersi convertito alla Decrescita Felice (un movimento che auspica una riduzione quantitativa dello sviluppo, a vantaggio di un suo miglioramento qualitativo, cioè a basso impatto ambientale e senza sfruttamento sugli esseri viventi) e che anzi sollevi lo spauracchio delle estati oggi sempre più calde solo per vincere le resistenze di chi si oppone al ritorno al carbone, allo sfruttamento più intenso delle risorse fossili o, peggio, al roseo futuro del nuovo (?) nucleare, fortemente sollevato dal fatto che il successo mediatico dell’onnipresente ed inespressivo Zelensky in maglietta militare, che invoca un continuo invio di armi, abbia cancellato il faccino indignato della fastidiosissima Greta, che invocava il blocco delle emissioni nocive.

Eppure i due grandi eventi di questi anni ’20 (l’epidemia di Covid e il ritorno della “guerra tra Stati” in Europa) avrebbero potuto essere un’ottima occasione per mutare lo stile di vita occidentale (per intenderci, non quello sbandierato delle libertà individuali e del benessere diffuso, ma quello reale, fondato sul consumo sempre maggiore e rapido di merce e sullo sfruttamento esponenziale delle risorse naturali e del lavoro). E invece nulla: “gli dei accecano chi vogliono perdere”. La pandemia è stata occasione solo di superprofitti farmaceutici e di riduzione forzosa delle libertà collettive e la guerra in corso è solo occasione di superprofitti energetici, di sfruttamento economico dei rifugiati (lecito e, soprattutto, illecito) e di distruzione massiccia e rapida delle merci eccedenti i consumi, prodotte dal credito senza interessi delle Banche centrali, che avevano creato, ancora prima della guerra, l’attuale inflazione senza crescita economica. D’altro canto, per il futuro, si vagheggiano già gli affari legati alla dipendenza obbligatoria dai vaccini ed alla ricostruzione delle città e delle fabbriche distrutte dai bombardamenti.

L’auspicio della società occidentale è quello del “ritorno alla normalità”: la normalità delle tante guerre ben lontane dall'Europa, del mutamento climatico irreversibile e dell’esaurimento delle risorse naturali, ben coperti dalla società del consumo, dello spettacolo e del divertimento alienante e dal finto sviluppo economico basato sulla finanza. Una forma anch'essa di “decrescita”, insomma, ma davvero “poco felice”, un’inversione epocale dello sviluppo economico e culturale, che era stato pronosticato da più parti come “il tramonto dell’Occidente” o meglio come il crollo del suo “Modo di Produzione Capitalistico”.