LA PARABOLA DI LUCIGNOLO

14-06-2021 09:59 -

Di fronte a masse di giovani “maturandi”, che a spintoni sono accorsi a vaccinarsi, la stampa italiana e gli esperti, chiamati a commentare l’evento, hanno fatto le lodi di questi studenti, colti e privi dei timori oscurantisti degli ultrasessantenni, che abbracciano il progresso e combattono in modo giusto il virus. A noi sembra, in effetti (anche dalle dichiarazioni rese da questi esempi di virtù civile) che gli studenti accorsi negli “hub vaccinali” (termine del tutto improprio, usato solo per gratuita anglomania, dato che non sono “snodi” di alcun traffico) siano solo alla ricerca di lasciapassare per discoteche, concerti, viaggi e notturne aree di movida, che li restituiscano ad una “normalità” dei piaceri della vita, che è tale solo per una minoranza di italiani e solo da una trentina d’anni. A noi sembra ancora, se la memoria non ci inganna, che siano gli stessi ragazzi che in maggioranza, partendo dalla personale certezza di non ammalarsi in forma grave, hanno sottovalutato e sottovalutano la gravità del Covid (comportandosi di conseguenza), così come ora sottovalutano superficialmente i rischi di alcuni vaccini (e ci dispiace immensamente che ci sia voluta la morte di una diciottenne perché qualcuno si ricredesse), e che siano gli stessi che ritengono le restrizioni imposte dalla pandemia come l’espressione inutile di un potere “triste”, nemico della loro gioia di vivere e che, come l’estate scorsa, vedano ancora una volta “la luce alla fine del tunnel” (“ma quest’anno ci sono i vaccini!”, dunque gli errori di un anno fa non si ripeteranno?).
A noi è venuto anche in mente, a dire il vero, complice la chiusura annuale delle scuole, a cui ci si è rassegnati davvero in fretta (rimpiangendone tutt'al più solo il ruolo di “socializzazione” e le tante attività collaterali) il discorso che Lucignolo fa al Pinocchio di Collodi, vantando le meraviglie del “Paese dei Balocchi”: “Dove vuoi trovare un paese più sano per noialtri ragazzi? Lì non vi sono scuole: lí non vi sono maestri: lí non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia mai. Il giovedí non si fa scuola: e ogni settimana è composta di sei giovedí e di una domenica. Figurati che le vacanze cominciano col primo di gennaio e finiscono coll'ultimo di dicembre. Ecco un paese, come piace veramente a me! Ecco come dovrebbero essere tutti i paesi civili! Le giornate si passano baloccandosi e divertendosi dalla mattina alla sera. La sera poi si va a letto, e la mattina dopo si ricomincia daccapo. Che te ne pare? Questo paese non somiglia a nessun altro paese del mondo. La sua popolazione è tutta composta di ragazzi. Nelle strade un’allegria, un chiasso, uno strillìo da levar di cervello!”
E ci è venuto in mente, naturalmente, anche cosa accade dopo 5 mesi in quel Paese meraviglioso (badate non la mattina dopo, come spesso viene sbrigativamente raccontato, ma dopo ben cinque mesi di piaceri ed allegria): non solo i ragazzi diventano bestie da fatica, ma seguono destini molto vicini a quelli odierni: Lucignolo viene addetto ad un’attività da schiavo, senza riposo e senza alcun diritto, a causa della quale morirà “sfinito dalla fame e dal troppo lavoro”, e Pinocchio (più grazioso e giovane) entra con successo nel mondo dello spettacolo, dove organizzatori senza scrupoli lo esporranno a rischi eccessivi per le sue forze.
Fuor di parabola, non ci sembra che si possa accusare Collodi di becero moralismo e tanto meno va a noi di sostenere che chi va a scuola (e non segue i “piaceri della vita”) troverà un successo lavorativo soddisfacente e duraturo, semplicemente perché oggi non è più vero. Bisogna riconoscere invece in Collodi un realismo ironico (molto toscano), che identifica la lode dell’ignoranza e dei futili divertimenti con lo sfruttamento vantaggioso per padroni e trafficanti di ogni genere. Diceva Don Milani che lo studio deve servire innanzitutto a comprendere bene un contratto di lavoro, a saper leggere un giornale ed una busta paga e a far valere i propri diritti. Aggiungiamo che dovrebbe aiutare a distinguere la scienza, che è innanzitutto ricerca di verità oggettiva, dalla pubblicità, che mira solo al profitto dei produttori (siano essi di farmaci o di balocchi d’ogni genere).
Quel che occorre allora oggi, secondo noi, è la riscoperta di una cultura e di un pensiero critico, al di là di quelli offerti - ahimé - da buona parte della scuola odierna, che siano conquista personale e collettiva di chi non è propenso a salire sul carro che conduce alla "Cuccagna" (utopia vagheggiata non a caso dal Medioevo al Seicento, secoli di disastrose pestilenze), a quel “Paese di Ben-godi” che (non a caso proprio durante una pestilenza) i protagonisti del Decamerone di Boccaccio inventano in una novella in cui ci si burla del povero Calandrino. La parabola di Lucignolo dovrebbe servire a tutti noi, ma soprattutto ai giovani, a riprendere in mano la nostra vita con una consapevolezza diversa dalla cosiddetta “normalità” oggi così lodata ed anelata. Con una conoscenza del passato, un’analisi del presente ed una prospettiva futura che ci portino si “fuori dal tunnel”, ma più che da quello dell'odierna pestilenza, da quello della società industriale basata sul profitto e la ricchezza di pochi, sulla prevaricazione degli Invisibili e sul divertimento a buon mercato di quel gregge, che non potrà mai essere immune dal virus, ma solo dal “difetto” di pensare.