CERAMICHE PATTESI: USA E GETTA?

19-07-2020 16:31 -

A poco più di 5 anni dall'apertura, chiude volontariamente a Patti la “Ceramiche Siciliane Ruggeri” (aperta nel 2014 dal manager di Valvitalia, sulle ceneri della “Ceramiche Caleca”) e nel grande capannone di contrada Ronzino, che domina dall'alto la deserta zona industriale di Patti, tutto è ormai nelle mani del liquidatore (Pachi Tramontana), che, intervistato dall'emittente locale OmniaNews, ha spiegato in poche parole che sta svendendo i prodotti e regolando crediti e debiti, per assicurare gli ultimi profitti ai figli di Salvatore Ruggeri, che hanno giudicato l'impresa pattese del padre (colpito in questi mesi da una grave forma di Covid) come una perdita inutile per il grande gruppo multinazionale di Voghera.
Per la decina di operai specializzati (ex Caleca, ex Melita ed ex Cavallaro), che curano la smaltatura e la decorazione del prodotto (dato che la materia prima pre-lavorata – il c.d. “biscotto” - arriva dall'Umbria) il posto di lavoro è stato finora garantito solo dai decreti ministeriali sull'epidemia, che vietano momentaneamente i licenziamenti. Tra poco, però, si aprirà il vuoto della disoccupazione, a meno che alcuni di loro non riescano nella “missione impossibile” di affittare lo stabilimento con i macchinari (per il quale però, a loro giudizio, è stato richiesto dai Ruggeri un nolo annuo troppo alto) o di trovare le solite “cordate di salvatori”, regolarmente introvabili in una zona come Patti, in cui scarseggiano i veri imprenditori.
Per secoli l'artigianato ceramico è stato l'attività economica più diffusa ed importante del nostro territorio, producendo materiale da costruzione, da illuminazione e da riscaldamento e le famose stoviglie per la cottura e per la tavola.
Nell'Ottocento alla Marina operavano 13 opifici, che davano lavoro a 3.500 operai (un terzo dell'intera popolazione dell'epoca) ed una flotta di 50 velieri esportava pentole e vasellame in tutto il Mediterraneo, grazie ad una preminenza sui siti concorrenti, dovuta all'invenzione dello smalto apiombico.
Per secoli tanti Invisibili pattesi hanno trascorso con non poca fatica buona parte della propria vita in quelle “Fornaci”, che riempivano la Marina e le sponde del torrente Provvidenza e di cui oggi non resta neanche un edificio intatto, come se non importasse nulla alla nostra cittadina mantenere la memoria di quella lunga, travagliata ed operosa storia collettiva, che in questi giorni si sta ingloriosamente concludendo.
Fino al 1950 eppure c'erano ancora in attività 14 Fornaci, ma a partire dagli anni '60 si fece la scelta (senza dubbio sbagliata) di favorire la crescita di una sola grande industria (la Caleca), a scapito dei laboratori ceramisti più piccoli. Una scelta che ha prodotto per quarant'anni un'altalena di espansioni e crolli, fino al fallimento finale.
Era il 2013 quando Salvatore Ruggeri, vantando il prestito di 600.000 euro fatto ai Caleca nel 2007 (quando aveva tentato inutilmente la scalata alla loro fabbrica, assumendone direttamente la presidenza ed assegnando ai due figli, Luca e Massimiliano, la carica di amministratore delegato) chiedeva ed otteneva il fallimento dello storico marchio pattese. Un anno dopo, presentandosi sfacciatamente come il “salvatore” della patria, apriva un nuovo stabilimento (la “Ceramiche Siciliane Ruggeri”), promettendo la resurrezione dell'araba fenice, ma assumendo meno di una dozzina di operai, scelti tra le esperte maestranze della Caleca e di altri due piccoli laboratori pattesi (Melita e Cavallaro), che aveva convinto a chiudere.
Dobbiamo dire che eravamo stati allora buoni (ma come sempre inascoltati) profeti, quando, avversati da tutti gli entusiastici ammiratori del ritorno di Ruggeri al paese natìo, che avrebbe creato almeno 50 posti di lavoro, prevedevamo fin dall'inizio questa chiusura, una volta trascorsi i cinque anni di vantaggi salariali previsti dal renziano Job's Act ed in buona parte fallito il tentativo di sostituirsi sul mercato (con un prodotto di qualità inferiore ed a costi più bassi) alla Ceramiche Caleca, di cui Ruggeri aveva vanamente tentato nel 2013 di acquisire (a prezzo stracciato) marchio, macchinari e know how.
Ed ora, andato male l'esperimento di capitalismo globalizzato, i padroni di Valvitalia applicano “l'usa e getta” e abbandonano repentinamente (e per la seconda volta, dopo la svendita della WAGI all'inizio degli anni ‘80) la Sicilia, lasciando dietro di sé il deserto, dato che la creazione di una fabbrica unica, che ingloba i piccoli laboratori creativi, non può produrre né il miglioramento di un prodotto di per sé artigianale né occupazione stabile, mirando essenzialmente a creare profitti per il proprietario e non un tessuto diffuso di innovazione e sperimentazione artigianale. Ma la classe dirigente pattese aveva sbagliato negli anni ‘60 con la Caleca e ha continuato a sbagliare sei anni fa, cercando il grande manager, l'uomo della Provvidenza, che oltre a dirigere la fabbrica potesse sponsorizzare sul territorio le iniziative più disparate (dai piccoli eventi culturali ai porti turistici e alle elipiste) o magari prendere anche, direttamente o indirettamente, le redini dell'amministrazione: il Cireneo che porti la croce di Cristo, insomma (come Ruggeri si era compiaciuto di rappresentare se stesso nella Varetta, donata per la processione dei Misteri pasquali), piuttosto che sostenendo le piccole aziende indipendenti, aiutandole dall'esterno a coordinarsi per la vendita a distanza del prodotto o per la creazione di nuovi maestri ceramisti.
Imparare dall'esperienza è un segno di intelligenza e di maturità, ma è una capacità purtroppo introvabile nella classe dirigente e negli amministratori pattesi. Facciamo appello perciò agli ultimi artigiani della ceramica pattese: a quelli oggi travolti dalla fugace e piratesca impresa di Ruggeri, a quelli emigrati da qualche anno nei Comuni vicini ed agli ultimi veri eredi di una tradizione secolare e di un sapere prezioso, che hanno finito con l'abbandonare la strada dei padri, perché superino una volta per tutte il progetto della grande impresa (ancora più insostenibile senza gli sbocchi commerciali internazionali di Valvitalia) e riaprano a Patti le loro botteghe artigianali e nuovi piccoli laboratori, capaci di puntare sull'eccellenza, l'originalità e l'insostituibile esperienza operaia e perché creino un distretto industriale legato alla tradizione locale, che possa offrire al mercato non solo oggetti, ma il racconto e la testimonianza di una storia collettiva, capace di reinventare se stessa ed il proprio tessuto sociale.