IL 25 APRILE E LA RIVOLUZIONE MANCATA

25-04-2020 09:49 -

Quella di oggi è una ricorrenza che, nonostante le molteplici motivazioni che riunificarono per alcuni mesi i “resistenti” (opposizione all'occupazione militare nazista, appoggiata dal fascismo di Salò, e difesa delle fabbriche che i tedeschi volevano smantellare, esigenza maggioritaria di mettere fine alla guerra e alle miserie che aveva comportato) sembra tracciare una netta divisione verticale tra DESTRA (il sistema mussoliniano al potere fino a quel momento in Italia, alleato con il nazismo tedesco) e SINISTRA (la maggior parte dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia e numerosi gruppi spontanei di partigiani). Ma in realtà la “Liberazione” dell’Italia, fissata al 25 aprile del 1945, fu per molti una liberazione mancata e la divisione che si ricreò quasi subito nel tessuto socio-economico italiano fu ancora una volta orizzontale.
Da una parte (IN ALTO) il padronato e l’alta borghesia italiana, che si erano sbarazzati in fretta del fascismo, sconfitto militarmente dagli Alleati anglo-americani, per utilizzare i soldi della ricostruzione e per ipotecare una democrazia saldamente filo-occidentale e capitalistica, dall'altra (IN BASSO) i tanti operai, contadini, artigiani, che, soprattutto nel nord Italia, con la lotta partigiana avevano sperato di creare una società diversa, ma che si ritrovarono a vivere in un mondo poco diverso dalla precedente dittatura, inspiegabilmente appoggiato, ora, persino dal Partito Comunista di Togliatti. Come diceva una canzone molto bella, composta negli anni ’60, (“Fiore rosso e fucile”, di cui alleghiamo in basso il testo completo): “Ma ci dissero al Partito:/ “Sotto con la produzione,/ il conflitto è ormai finito,/ non si fa rivoluzione”».
In mezzo, frastornata tra la connaturata cultura fascista, in cui era cresciuta, ed il nuovo conformismo cattolico, che sosteneva gli stessi valori (Dio, patria, famiglia), una piccola borghesia impiegatizia, commerciale e di piccoli proprietari, che troverà presto nella DC il suo baluardo contro un proletariato ribelle, utile a morire nella lotta partigiana, ma subito dopo temibile, come già lo era stato alla fine della Grande Guerra, per la sua voglia di rivoluzionare i vecchi rapporti di produzione.
Una ricorrenza dunque piena da sempre di ambiguità e retorica, questa del 25 aprile, che da una parte non può non suscitare lo sdegno per le stragi di civili, sia quelle compiute dalla Gestapo e dalle SS, che si ritiravano insieme alle truppe tedesche, duramente provate dall'imminente sconfitta (ricordiamo tra le tante quella delle Fosse Ardeatine, in cui furono trucidati anche alcuni fascisti della prima ora), sia quelle provocate (come a Patti e in tutto il Centro-Sud) dai bombardamenti anglo-americani, ma che,d’altra parte, infastidisce per l’opportunismo di chi cambiò in fretta la nave che affondava, per imbarcarsi sul carro dei vincitori, e per la retorica ipocrita di chi sta sempre dalla parte in cui si rischia meno e in cui ci si può accontentare delle briciole dei potenti.
Ci piace ricordare allora, in questo giorno, le ragioni di chi insorse non solo contro il pericolo immediato, ma soprattutto per cambiare la società e che fu poi presto emarginato e criminalizzato proprio per questo desiderio. Di chi, insomma, vide fallire la speranza di un mondo nuovo, vide tradita la sua rivoluzione.
Come si rischia di veder fallire oggi i buoni propositi di ripartire cambiando una società distruttiva, di cui la pandemia del coronavirus ha svelato impietosamente ingiustizie e pericoli, ma che vedremo probabilmente risorgere ancora più avida e spietata, per recuperare in fretta i profitti, ridotti dal temporaneo blocco economico. Avremo la forza oggi, in cui appariamo ancora più disarmati di 75 anni fa, di non farci travolgere di nuovo verso la catastrofe?