MIGRANTI A PATTI: INTEGRAZIONE O MULTICULTURALITÀ?

16-10-2019 09:25 -

Quanti sono oggi i migranti di origine straniera a Patti? Il loro numero è aumentato negli ultimi anni? Da quali paesi provengono? Dove e come vivono e come si rapportano alla nostra comunità?
Ci poniamo queste domande a pochi giorni dall'ormai consueta Assemblea annuale degli immigrati dal Kerala del territorio tirrenico-nebroideo, convocata dalla World Malayalee Federation, un’organizzazione di supporto ai migranti indiani, basata su valori democratici, secolaristici ed antirazzisti ed ispirata a principi di tolleranza, di reciproco rispetto tra le culture e di uguaglianza fra uomini e donne, a cui anche quest’anno è stata invitata a partecipare la nostra Associazione, il “Paese Invisibile”, da tempo attenta ai problemi di questa comunità, che è la più numerosa tra quelle straniere residenti a Patti: rappresenta infatti più di un quarto degli immigrati totali, che formano oggi il 4,3% della popolazione residente.
Per rispondere alle prime 3 domande che abbiamo posto, aggiorniamo (solo per Patti) i dati di una nostra inchiesta del 2014 (che potete leggere per intero nel documento in pdf allegato in basso). I dati utilizzati sono di provenienza Istat.
Il numero di stranieri residenti a Patti è costantemente cresciuto dall'inizio del 2000, non solo in termini assoluti (passando dai 158 del 2002 ai 229 del 2005, e poi dai 361 del 2009 ai 543 del 2013 ed infine ai 570 del 2019), ma soprattutto in percentuale (dall’1,2% del 2002 all’1,7% del 2005, dal 2,8% del 2010 al 4,0% del 2013, fino al 4,3% di oggi), dato che la popolazione locale è da tempo stabile, nonostante l’afflusso nel nostro paese costiero di un buon numero di abitanti dei centri collinari confinanti.
Quanto alla divisione per paesi d’origine, il gruppo più numeroso è quello degli Indiani (25,4%), seguito da Rumeni (16,7%) ed Albanesi (16,5%). Sono al 10,5% Ucraini e Polacchi ed al 10,3% i Nord-africani (soprattutto magrebini), mentre restano al 4,2% i Sub-Sahariani e al 3,2% i Cinesi. Questa composizione è dovuta al tipo di occupazione svolto dalle diverse etnie, dato che gli indiani sono dediti soprattutto alla cura della persona o della casa, gli slavi ad agricoltura ed edilizia (anche se buona parte delle donne svolge anche lavori da badante), cinesi e magrebini al commercio. E’ evidente così come il ristagno delle attività produttive e del commercio (sono numerosi i negozi cinesi che si sono trasferiti altrove negli ultimi 2 anni) lasci spazio solo a lavori di assistenza domiciliare, sempre più richiesti a causa dell’invecchiamento costante della popolazione (sia per il calo della natalità, che per l’aumento dell’emigrazione dei giovani pattesi). Gli immigrati africani, invece, che in Italia lavorano soprattutto nelle industrie e nelle grandi aziende agricole, non trovano imprese di questo tipo nel nostro paese e vi svolgono solo lavori precari e saltuari, sottopagati e spesso “in nero”.
(Non prendiamo in considerazione qui, naturalmente, non potendone fare una stima corretta, gli immigrati irregolari né le possibili connessioni tra migranti ed attività illegali – dalla criminalità più o meno organizzata a quella spicciola dei reati contro il patrimonio o della prostituzione - per mancanza di indicatori specifici per il nostro territorio).
Patti è carente, per i migranti, anche di un’offerta adeguata per quanto riguarda la scuola e la domanda di lavoro qualificato. Molti bambini e ragazzi, infatti, (come avevamo già sottolineato nella nostra inchiesta di 5 anni fa) stanno a Patti con i genitori solo nel periodo di vacanza, per poi tornare nei Paesi d’origine (spesso presso i nonni), per completare là i loro studi ed approdare infine, con il diploma in tasca, nelle Università italiane che rilasciano lauree internazionali, prima fra tutte quella di Roma, o in quelle di altri Paesi Europei (ad esempio l’Inghilterra per chi viene dall'India), dove del resto si trasferiscono, per lavorare adeguatamente, anche tutti i migranti più qualificati. All'estremo demografico opposto, dopo una certa età molti stranieri tornano definitivamente nel proprio Paese, non usufruendo evidentemente qui di un’assistenza socio-sanitaria tale da compensare la nostalgia del paese d’origine.
Ciò autorizza ad ipotizzare che Patti sia solo un breve luogo di transito per chi arriva dall'estero, dato che offre solo lavoro poco qualificato, non produttivo e spesso in nero e precario ed una qualità della vita troppo bassa, con un continuo ricambio che rende naturalmente più difficile l’integrazione.
Buona parte dei migranti, ad esempio, vive nel nostro Centro Storico, dove gli affitti sono meno cari e dove è interessante notare come molti acquisti di abitazioni sia stata effettuata negli ultimi due anni da albanesi, che operano nell'edilizia e provvedono a ristrutturare da soli i malridotti alloggi della zona antica.
Lo stile di vita di indiani e slavi, del resto, è ancora legato a quella società contadina, che ha accomunato per secoli tutto il mondo e che, a causa dell’arretratezza economica dei paesi d’origine, mantiene in loro più vivi valori e tradizioni e potrebbe favorire un’interessante multiculturalità, ma, dato che da noi sono ormai perdute o vuotamente formali le identità collettive, appiattite in una provinciale cultura globalizzata, potrebbe anche rischiare di chiudere gli appartenenti ai vari gruppi al proprio interno.
Questo anonimato sociale del nostro paese è particolarmente grave per gli immigrati dell’Africa sub-sahariana, quasi tutti giovani, che arrivano senza famiglia e senza amici, perché persino le amicizie strette durante i pericolosi viaggi dall'Africa vengono spezzate dalle assegnazioni casuali nei vari centri di accoglienza. Ciò li espone ad una integrazione forzata al nostro stile di vita (e ai cosiddetti “valori” occidentali, in gran parte consumistici e competitivi) che cancella del tutto il ricordo della cultura d’origine (molti di loro tra l’altro, al contrario degli altri immigrati a Patti, sono di religione musulmana e sono impossibilitati a praticarla collettivamente). Pensiamo ad esempio ai giovani africani ospitati da un’associazione di volontariato pattese, la “Raggio di Sole”, una Onlus che ha gestito negli ultimi anni vari settori dell’assistenza socio-sanitaria (grazie a diversi progetti statali e regionali) e che ora si occupa, con la mediazione di locali psicologi ed assistenti sociali, dei giovani scafisti africani e di detenuti italiani nella fase finale della condanna, relegando così di fatto (e al di là delle buone intenzioni) la presenza dei giovani migranti nella marginalità sociale. Per loro solo lavoretti agricoli o nelle cucine delle strutture turistiche e qualche sporadica attività sportiva o scolastica, con poche prospettive di inserimento adeguato.
In conclusione, ci sembra che le caratteristiche della presenza dei migranti a Patti siano un’interessante cartina di tornasole della situazione socio-economica e culturale del nostro paese (che ne risulta poco entusiasmante) ed auspichiamo che si realizzi una multiculturalità, che dia spazio ed importanza alle loro tradizioni e alla loro identità etnica, sia per favorire un loro inserimento più armonico nella nostra società, sia per spingerci a recuperare le nostre, uscendo così dall'insopportabile anomia sociale che oggi ci caratterizza. Ben vengano, allora, i migranti stranieri, ma sia chiaro che per noi non devono essere un problema di beneficenza o un’occasione di sfruttamento economico, bensì un’opportunità di arricchimento culturale e di trasformazione del nostro ormai usurato stile di vita.
A questo scopo auspichiamo una maggiore apertura ai migranti degli spazi pubblici, da concedere gratuitamente per le loro iniziative di gruppo o di confronto con gli altri gruppi etnici, con le istituzioni (che fine ha fatto, a proposito, la Consulta dei migranti, approvata dal Consiglio Comunale già da qualche anno?) e con la cittadinanza pattese ed una partecipazione di chi risiede nel Comune da almeno due anni (anche senza avere la cittadinanza italiana) alle elezioni amministrative.