Attività produttive a Patti: DALLE FABBRICHE AL TERZIARIO INQUINANTE?

23-09-2018 15:29 -

Il titolare di una fiorente ditta pattese di raccolta rifiuti, ci ha detto, durante un´intervista che gli abbiamo fatto qualche anno fa, che il terreno costeggiante il fiume Timeto, su cui oggi sorge la sua impresa, era prima un agrumeto, che ospitava soprattutto limoni: "Io amavo quegli alberi - ha aggiunto - ma quanto pensa che avrei guadagnato coltivando limoni? E a quante persone pensa che avrei potuto dare lavoro?".
E´ questa una contraddizione classica del Meridione d´Italia: territorio ideale per alcune colture mediterranee, ma costretto dal commercio internazionale - a partire almeno dal ´600 - a distruggere o abbandonare i propri prodotti agricoli tipici (e la filiera ad essi collegata) per ospitare altre attività, capaci di garantire livelli di occupazione e profitti più adeguati, ma che non di rado hanno impoverito il territorio e la sua biodiversità. Nel 1600, ad esempio, divennero inutili gli alberi di gelso (legati all´allevamento dei bachi ed alla ricca filiera della seta) perché gli Spagnoli trovarono più vantaggioso trasferire questa attività in un´altra zona dei loro domini italiani: quella del Lombardo-Veneto. Così all´inizio del ´900 il diffondersi della ferrovia spinse i grandi proprietari ad abbandonare le colture più deperibili a vantaggio degli agrumi, che reggevano meglio il lungo trasporto ferroviario, mentre all´inizio del 2000 gli agrumi, che non reggono la concorrenza mediorientale ed africana, stanno lasciando il posto alla globalizzata frutta esotica, o peggio, come dicevamo all´inizio, a quel terziario inquinante, che ormai da tempo trova al Sud una collocazione privilegiata.
Quello che ci chiediamo è se sia ancora inevitabile piegarsi alla divisione internazionale del lavoro, o se oggi esistano condizioni politiche e tecniche che consentano di armonizzare, nel Sud d´Italia, lavoro e territorio.

1.La prima fase: LE GRANDI FABBRICHE
L´esigenza di creare una zona industriale a Patti si pose all´inizio degli anni ´60, quando gli incentivi, offerti dalla Cassa per il Mezzogiorno ai nuovi insediamenti industriali nel Sud, spinsero un famoso finanziere di origine pattese, Michele Sindona, a valorizzare due società in difficoltà che aveva acquisito da poco (la Talmone, una fabbrica dolciaria torinese, e la C.T.I.P. "Compagnia Tecnica Internazionale Progetti"), attraverso la creazione a Patti di due stabilimenti industriali a loro collegati: la fabbrica di caramelle Tyndaris, con la partecipazione azionaria della Talmone, e la meccanica WESPA (Walworth Europa SpA), produttrice di valvole industriali, partecipata, per un terzo, dalla CTIP.
Il Comune di Patti, di cui era allora Sindaco Giovanbattista Sciacca, offrì condizioni incredibilmente vantaggiose al finanziere, puntando ad incrementare occupazione e livello di vita del paese: mise infatti a disposizione gratuitamente alcuni terreni costieri, fino ad allora sede di una fiorente agricoltura orticola, e fornì a proprie spese tutte le infrastrutture necessarie, cioè allacci idrici, fognari ed elettrici, strade di accesso e persino un costoso raccordo ferroviario (che per altro si rivelò ben presto inutile). L´area prescelta era quella di contrada Playa: pianeggiante, a quel tempo lontana dal centro abitato e vicina alla stazione ferroviaria.
Sorsero qui i grandi capannoni della Tyndaris e della Wagi (nome definitivo assunto dalla Wespa), mentre restava di poco fuori dall´area la fabbrica di ceramiche Caleca, che sorgeva, su terreni privati, sulla riva destra della foce del torrente Provvidenza. Le due fabbriche erano presenti solo con i capannoni di produzione: si trovavano infatti al Nord i settori tecnico progettuale e di ricerca e vi si trasferivano, dopo poco tempo, anche le direzioni commerciali: a Roma quella della Wagi (spostata poi a Voghera) ed a Milano quella della Tyndaris (affidata alla società commerciale Merx del gruppo Sindona).
Accanto ai due "colossi" (che davano lavoro rispettivamente a 285 e 232 operai) apriranno nei primi anni ´70 i cantieri navali "Eolo" e "Marinello", ma non si creerà mai un indotto né (per le due maggiori) un mercato locale.
Alla fine degli anni ´80 il ritiro dei marchi nazionali aprì un rapido crollo di Wagi e Tyndaris, portando a fasulli trasferimenti di proprietà ed a fallimenti pilotati (e talora illegali), grazie anche alla mediazione di una parte del ceto politico locale, che è intervenuto pesantemente nelle contrattazioni aziendali, disperdendo una manodopera locale, assunta inizialmente a bassi salari (perché attinta dai settori ormai stagnanti dell´agricoltura e dell´artigianato), ma giunta negli anni ´70, con clamorose lotte operaie, ad un trattamento vicino ai livelli nazionali.
L´intento delle classi dirigenti locali era proprio quello di eliminare questo pericoloso esempio di organizzazione operaia e l´illusione era quella di trasformare l´area in infrastrutture turistiche, come preannunziava l´albergo "La Playa" e, poco più tardi, il ristorante "Villa Romana", rimasti però isolati e costretti a convivere tuttora con scarichi fognari perennemente senza controllo.
Oggi convivono in quella prima zona industriale, accanto al cantiere navale "Marinello", che non l´ha mai lasciata, grandi supermercati, uffici (come l´INPS ed il Centro per l´Impiego), locali notturni (non di rado a luci rosse) e la grande lavanderia industriale "Lavalux". L´area industriale, intanto, negli anni ´80, trasmigrava (come vedremo nella seconda parte dell´inchiesta) in un´altra sede, ancora meno idonea della prima, seguita poi da quell´area artigianale, individuata inizialmente sulla costa, mai utilizzata e presto trasferita verso l´interno, per fare largo ad una lottizzazione di case estive, che si è poi immancabilmente rivelata azzardata e fallimentare.
Il flop sociale ed economico di questa prima scelta di insediamento produttivo e l´attuale compresenza caotica di insediamenti industriali, di servizio, commerciali, turistici e di intrattenimento attesta quella mancanza di programmazione economica e quell´inutile inseguimento di ogni occasione di finanziamento esterno, inevitabili in un sistema di governo affidato solo ad un´iniziativa privata quasi sempre predatoria e priva di prospettive di largo respiro, con poche e felici eccezioni, che purtroppo non bastano ad invertire la tendenza generale e non di rado sono ingiustamente penalizzate dal contesto locale.