Ceramiche Siciliane Ruggeri: LA FABBRICA VIRTUALE

23-03-2018 19:21 -

Da qualche settimana lo spot delle "Ceramiche Siciliane Ruggeri" campeggia sugli schermi televisivi de "La 7", all´inizio e alla fine di molte trasmissioni. Lo spot invita ad acquistare on line un prodotto che di siciliano in realtà ha solo i decori, sia perché accentuano l´iconografia più stereotipata e folkloristica di questa regione, sia perché le ceramiche vengono decorate nell´imponente stabilimento siciliano, che domina la semideserta zona industriale di Patti (anche se questo nello spot non lo si dice).
L´impegno economico di questo tipo di pubblicità, l´esportazione in varie parti del globo (Usa, Canada, Cina, Australia, ecc.) ed il rifornimento di vari stores in tutta Italia farebbero pensare ad una fabbrica in crescita e con tanti operai. Ma fino a qualche mese fa, a dire il vero, i dipendenti della fabbrica pattese (comprendendo nel conto dirigenti, impiegati, addetti alla vendita ed operai) erano in tutto 18 e non ci risulta che siano state effettuate nel frattempo altre assunzioni (saremo ben lieti, naturalmente, di essere smentiti), anche se nel maggio scorso il fatturato della fabbrica pattese aveva raggiunto il milione e si preannunziava (su una locale televisione on line) la possibilità di arrivare a breve a 50 dipendenti.
La realtà, però, è forse un po´ diversa e segue le leggi delle fabbriche globali, perseguendo obiettivi più di tipo finanziario che produttivo. Ricordiamo innanzitutto che il prodotto ceramico grezzo (il cosiddetto "biscotto") arriva da fuori: non dalla Cina, come hanno tenuto a precisare i responsabili dell´azienda, ma neanche dalla Sicilia, bensì da Deruta (Umbria) una città che vive ancora di ceramica, mentre a Patti ci si limita a smaltarlo e decorarlo (e ci complimentiamo comunque con la sparuta decina di maestri decoratori che riescono a soddisfare un così vasto mercato). Ricordiamo ancora che i canali di commercializzazione (a livello mondiale) sono quelli della Valvitalia di Voghera, una fabbrica di valvole industriali (erede indiretta della smantellata WAGI pattese) ben sostenuta da alcuni anni, per il 49,5%, dai capitali pubblici della Cassa Depositi e Prestiti e proiettata alla conquista in tutta Italia di piccoli marchi prestigiosi, acquisiti da fabbriche che vengono progressivamente svuotate di manodopera (come la Eusebi di Ancona), ma che riescono miracolosamente ad aumentare fatturati ed esportazioni, attingendo ad elementi e fasi lavorative decentrate e giovandosi della "struttura commerciale sovranazionale" (come lui stesso la definisce) del manager di Valvitalia, secondo una linea industriale esplicitamente teorizzata da Ruggeri, nell´ambito di una globalizzazione con sempre minore incidenza dei costi del lavoro.
Lo stesso Ruggeri, del resto, si è un po´ defilato negli ultimi mesi da Patti, rinunciando ad alimentare la fama del generoso benefattore, creata da un "murales" su ceramica, realizzato con una scuola pattese (che vedete nella foto accanto e che accoglie gli automobilisti, in arrivo dall´autostrada Messina-Palermo, con la consueta iconografia folkloristica cara alla ditta), e dalla "varetta" del Cireneo, donata con targa-ricordo l´anno scorso, per la processione pasquale del venerdì santo.
Non può sorprendere dunque (almeno non sorprende "Il Paese Invisibile", che lo aveva previsto da tempo, in una serie di articoli che potete leggere ancora nella sezione "Inchieste" di questo sito) che la fabbrica pattese sia poco più di un simulacro virtuale, che evoca la grande tradizione della nostra industria ceramica, di cui fino ai primi del secolo scorso viveva buona parte del paese e che fino all´inizio di questo secolo era dominata dal marchio Caleca, ma era ancora affiancata da piccole e valide realtà artigianali, oggi allontanate da Patti (come la Calderone) o assorbite da Ruggeri (come la Melita e la Cavallaro), al pari di alcune maestranze Caleca, in quel piccolissimo gruppo di operai, pagati (come quasi sempre in Sicilia, finché dura) grazie alle recenti agevolazioni statali del Job´s Act.
E´ questo lo sviluppo locale che vogliamo? Ci accontentiamo di sopravvivere in un marchio globalizzato o vogliamo creare una concreta ad autonoma realtà locale di buon artigianato e di prodotti interamente siciliani?